Negli ultimi decenni abbiamo assistito a numerose fusioni tra colossi e cambi di proprietà nei settori più disparati che rimarcano i profondi cambiamenti che stiamo vivendo in questo ultimo decennio e che rappresentano un ottimo spunto di riflessione. Probabilmente sta giungendo al tramonto il periodo della nascita di grandi realtà come eravamo abituati in passato (se non rare eccezioni) e permane la pratica ciclica di fondersi per mantenere e accrescere la propria fetta di mercato. Situazioni economiche poco favorevoli come quelle degli ultimi anni hanno generato cambi ai vertici di grandi multinazionali, vendite o fusioni di importanti player in tutti i settori. Le regole commerciali richiedono oggi tempi di reazione assai rapidi se non immediati, nulla si può più lasciare al caso. Un qualsiasi errore di valutazione o una distrazione possono causare una rapida discesa. Basta osservare come un qualsiasi nuovo segmento commerciale, una volta scoperto viene attaccato con una concorrenza feroce, che causa la saturazione dell’offerta in poco tempo. Molto spesso le fusioni aziendali sono una valida soluzione, però non sempre rappresentano quella risolutrice. I benefici che si ottengono sono molteplici, rendendo le esperienze tecniche e commerciali condivisibili. Si possono però ottenere come risultato anche conseguenze negative come esuberi, rimescolamento (o cancellazione) delle posizioni al vertice, tempi di integrazione talvolta lunghi e non privi di tensioni interne, delocalizzazione e, soprattutto, il venir meno dell’identità che contraddistingue un brand, una volta fuso con un altro. Quando si parla di fusione non necessariamente si fa sempre riferimento a grandi multinazionali così come le partnership appartengano esclusivamente al mondo delle PMI. E’ sempre una questione di visione innovativa e percezione di tutti i mutamenti del mercato e di una gestione congrua di ogni possibilità.
Quando la condivisione non significa per forza fusione
Spesso una fusione va ben oltre le reali esigenze di due aziende e quindi per vari motivi non viene presa in considerazione. È interessante notare come tante realtà decidano di mettere a reciproca disposizione le proprie esperienze senza per forza dover rivoluzionare le gerarchie o le politiche aziendali. Questo scambio di informazioni è un fattore importante nel panorama del cambiamento poiché, da punti di vista diversi, possono nascere idee nuove. Le alleanze strategiche possono offrire molti vantaggi, come ad esempio la creazione di nuovi team sfruttando le risorse da ambo le parti, la possibilità di rendere ogni elemento complementare, di disporre di più progetti condivisi come anche l’ingresso in nuove aree di business, ecc. Occorre comunque fare un’attenta valutazione, specie nell’aspetto economico poiché un progetto condiviso da due aziende necessita di risorse da entrambe tenendo in considerazione i conseguenti costi. Tuttavia l’ambito economico può comunque non rappresentare un problema primario, poiché se da una parte si avranno più risorse a carico rispetto a una fusione, non sarà necessario rivoluzionare, rinnovare o scremare il proprio organico, fattori questi ultimi, che comporterebbero un investimento notevole di tempo (e denaro). Inoltre, un’alleanza strategica permette di mantenere invariati i flussi di lavoro e la filosofia aziendale. Non si dovrà mettere mano quindi agli “ingranaggi” ma migliorare le meccaniche interne, sfruttando lo scambio di esperienze. Le alleanze generando una forza propulsiva ulteriore grazie alla condivisione delle diverse competenze, avranno così il potenziale per innovare e generare un maggiore valore. Il vero scopo dell’alleanza è ottenere tutti i vantaggi che sarebbe impossibile avere rimanendo singoli. Inoltre, due aziende che decidono di unire le proprie forze, non necessariamente devono far parte dello stesso segmento. L’esempio di Gucci e Tencent offre una chiara visione del valore di un’alleanza fra due colossi, uno del Fashion e l’altro di Internet. L’unione guarda verso lo sviluppo di strategie digitali per il retail, passando dall’IA al data science, il tutto applicato al mondo della moda. I risultati saranno ben diversi da una possibile fusione tra due brand che operano nello stesso settore, in quanto due settori diversi che iniziano a collaborare, sperimenteranno una combinazione di know-how che può giovare sia a un ambito che all’altro.
L’unione delle esperienze è il vero punto di forza
Sempre più spesso le aziende si trovano a dover affrontare la difficile ricerca di figure professionali specifiche, da inserire nel proprio organico, per i lavori che richiedono nuove discipline quali STEM e competenze digitali. L’evoluzione del lavoro degli ultimi anni sta iniziando a cancellare le vecchie mansioni a favore delle nuove o addirittura di alcune che ancora devono nascere. La soluzione al problema della reperibilità può essere quello di predisporre un programma di partnership fra più realtà, ognuna per il proprio campo di competenza. Ciò non vuol dire creare una rete di pseudo consulenze o di fornitori a seconda del bisogno immediato, bensì consolidare l’unione tra due o più realtà che abbiano un obiettivo preciso e, cosa non meno importante, che sia programmato anche in termini di durata. La durata di un’alleanza non ha valori standard, essa può essere quantificabile in base a un singolo progetto così come una visione a lunghissimo termine.
L’etica è amica dell’alleanza
Come già detto le fusioni portano benefici ma anche molti aspetti negativi, preoccupazioni e molto spesso non sono dettate da esigenze nobili, bensì da manovre politico-economiche. Recentemente sta aumentando l’interesse e il focus sull’etica nel lavoro, come parte dei recenti grandi cambiamenti, ne sentiamo infatti spesso parlare a gran voce in diversi ambiti. Negli ultimi tempi abbiamo assistito a parecchie fusioni tra colossi ed è logico chiedersi se anche in questo ambito l’etica trovi il giusto spazio all’interno di operazioni così complesse. Sono fin troppo note le grandi fusioni con conseguenti e inevitabili esuberi di risorse (e spiacevoli conseguenze), che guardano solamente gli aspetti finanziari e che di valore generato hanno ben poco. D’altronde è un fenomeno ricorrente che nell’ambito di una fusione sia presente una parte più forte che avrà la facoltà di rivoluzionare quella più “debole” prendendo in considerazione taglio dei costi, stop momentaneo alla ricerca e sviluppo oppure la delocalizzazione. Consideriamo anche quanto possa essere faticoso e controproducente dover integrare due grandi team cercando di risolvere subito gli attriti o i problemi che si innescano e soprattutto non sprecare del tempo prezioso: occorre sempre una visione chiara della direzione da intraprendere ancora prima di iniziare. Alla luce dei numerosi esempi di fusione a cui abbiamo potuto assistere, si può notare che ciò raramente avviene e la sensazione che si percepisce dall’esterno è quella di una sorta di autodistruzione. Con una partnership potrebbe essere invece meno complesso affrontare i problemi di questa natura, anche se ovviamente “poter fare” non significa “facile”. Mantenendo l’identità aziendale delle due realtà che stringono la partnership, potranno essere fatte scelte più etiche, tanto che l’etica, come la digitalizzazione e l’automazione, sta diventando una caratteristica basilare delle aziende del futuro. Deve essere considerata come un ramo fondamentale su cui poggiare i principi aziendali, non solo sulla “carta”, considerando che esperienza, conoscenza e condivisione sono aspetti cardine che appartengono all’uomo, infatti può trovare ampio spazio nel business come fulcro, poiché l’uomo resterà sempre il vero valore dell’economia.