A luglio dello scorso anno avevamo fatto alcune considerazioni sull’AI, come strumento di consolidamento e miglioramento del business. In occasione dell’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano vogliamo analizzare progressi e problematiche presenti nel nuovo anno appena iniziato.
A che punto siamo
La consapevolezza riguardo all’intelligenza artificiale è aumentata rispetto allo scorso anno grazie anche alle numerose pubblicazioni a riguardo; una pubblicazione scientifica su dieci lo scorso anno riguardava l’AI. Resta ancora da colmare la grossa lacuna delle competenze: non sono molte le figure o aziende che possiedono la dimestichezza necessaria. Il settore pur procedendo a rilento è oggetto di strategie nazionali e internazionali che coinvolgono molti “attori”. Si può parlare di una vera e propria corsa da parte di alcune nazioni per riuscire ad arrivare all’obiettivo finale, prima di tutti gli altri. Tanto per dare un’idea dello sforzo economico prodotto per la ricerca, gli USA hanno beneficiato tramite finanziamenti (privati) di 5 mld di dollari alla pari della Cina, mentre in Europa la nazione che ha dedicato più risorse economiche è la Germania con 500 mln di euro; un decimo rispetto agli Stati Uniti…… Fa cifra a sé la Gran Bretagna con 2 mld di dollari. Sono diversi gli approcci verso questa tecnologia da parte delle varie potenze mondiali: gli USA sono molto restii alla condivisione dei risultati, la Cina vuole assolutamente essere leader mentre l’Europa è molto human centered: l’uomo e l’etica restano dei principi solidi nel vecchio continente.
Qualche esempio
Sono numerose le applicazioni basate su algoritmi e utilizzate in molti settori come quello finanziario che sfrutta l’IA per prevedere gli andamenti di mercato e aiutare gli esperti per prendere le decisioni. In ambito industriale l’intelligenza artificiale è presente in molte applicazioni come ad esempio la manutenzione predittiva o l’ottimizzazione dei flussi inbound di magazzino che sfrutta le previsioni di vendita. La presenza dell’AI arriva anche nel mondo televisivo, dove viene impiegata per i palinsesti come anche per analizzare l’indice di gradimento di una serie di argomentazioni e trasmettere quindi un programma piuttosto che un altro. L’AI è ancora agli inizi e non è di certo infallibile. Sono diverse le situazioni dove gli algoritmi hanno “bucato” le previsioni, tuttavia in altri episodi hanno fornito risultati corretti quasi al limite dello sconcerto. Un caso su tutti è quello di Blue Dot, piattaforma che analizza ed interpreta le news mondiali in ogni lingua. A dicembre del 2019, gli algoritmi di Blue Dot avevano già fornito un quadro chiaro della situazione Coronavirus che si stava generando a Wuhan. L’analisi e l’interpretazione delle news avevano portato alla previsione di una vasta diffusione del virus ben prima che l’OMS diffondesse ufficialmente l’allerta mondiale.
L’Italia e i suoi freni
Il nostro paese è ben consapevole che anche il settore dell’intelligenza artificiale non può essere ignorato. Lo scorso anno sono stati stanziati 160 milioni di euro per la ricerca e nei progetti futuri il MIUR metterà a disposizione, per il periodo 2020 – 2022, 10 mln di euro. Nonostante la disponibilità ridotta di risorse economiche, i risultati derivanti dalle ricerche svolte dal Politecnico di Milano nel campo dell’AI, confermano una posizione avanzata rispetto ai risultati raggiunti dalla media UE. Le aziende nazionali pare che siano ancora frenate nel decidere di adottare questa tecnologia; competenze scarse, cultura aziendale come anche resistenza da parte delle risorse convinte di essere minacciate e presto rimpiazzate dagli algoritmi, sono le motivazioni principali. Ad ogni modo in Italia si è registrato un aumento incoraggiante di realtà che hanno inserito l’AI nei propri flussi lavorativi: nel periodo 2018-19 si è passati dal 12% al 20% di aziende che ne fanno uso. Resta comunque il fatto di avere ben chiaro che l’AI non è una moda passeggera e nemmeno l’arma segreta per risollevare le sorti di un’impresa; occorre sempre valutare se è veramente indispensabile e soprattutto, a fronte di importanti budget da dedicare, il ritorno del ROI.
Il quadro della situazione in cifre
L’AI è agli inizi, e viene sviluppata specialmente per l’elaborazione dei dati allo scopo di costruire sistemi previsionali. Chi gode della maggiore diffusione è il settore Fintech pari al 25%, mentre il manifatturiero e l’energetico rappresentano il 13% ciascuno. Il settore assicurativo è l’ultimo a doppia cifra (12%) mentre segmenti come Farmaceutico, media, telecomunicazioni e GDO oscillano fra il 5% e il 6%. Il mercato nazionale mostra cifre ancora contenute, nell’ordine di 200 mln di € riferiti allo scorso anno. Da menzionare comunque che il 10% del mercato è rappresentato dai sistemi di Computer Vision, video e riconoscimento degli oggetti o facciale, tanto per intenderci, il 28% appartiene ai chatbot e assistenti virtuali, il 33% come data processing e solamente l’11% riferito alla robotica e automazione.
L’AI è un plus, non una nuova arma
I rischi di un uso non regolamentato dell’intelligenza artificiale è quello di ritrovarsi in una condizione di algocrazia, ovvero la diffusione dei sistemi governati da algoritmi capaci di assumere decisioni in completa autonomia impostati sulla base di modelli predefiniti dall’uomo. Ciò esporrebbe a rischi individuali e sovra-individuali e qualche esempio purtroppo è già realtà: ricordiamo tutti il caso di Cambridge Analytica e di come sia possibile deviare e influenzare l’opinione personale. La situazione conseguente potrebbe portare all’alterazione della concorrenza o al controllo dei media, per fare un esempio. La limitazione dell’autodeterminazione, l’accesso dei pubblici servizi o al credito come anche al mondo del lavoro sono risultati che impatterebbero a livello individuale. Infatti, non si è proprio sicuri che un algoritmo capace di decidere in completa autonomia sia estraneo a pregiudizi o preconcetti, perché l’algoritmo stesso è stato elaborato da una figura umana, e ricordiamolo, dietro precise richieste per il raggiungimento dello scopo.
Cambiamento delle figure professionali, ma attenzione…
Un altro effetto da considerare, ma che non è riconducibile soltanto all’AI, ma di tutto il ciclo innovativo è il cambio del profilo professionale “tipo” oggetto di ricerca da parte delle aziende. La necessità sempre più crescente di questi profili sta influendo in modo diretto sulla job polarization. Come già ampiamente discusso, le figure professionali hi skilled sono ricercatissime per intraprendere (o accelerare) lo sviluppo dei sistemi AI. Nel frattempo, sta crescendo anche la domanda di risorse low skilled da inserire nell’organico delle aziende. Questo mutamento va a influire sulle posizioni intermedie, quelle impiegatizie, che proprio a causa dell’adozione dell’AI per l’assolvimento dei compiti, sta iniziando a delinearsi come un esubero di posizioni non più necessarie (e sovente non ricollocabili). In questo modo si corre il rischio entro pochi decenni di avere in nuovo modello lavorativo: specialisti che svilupperanno e programmeranno sistemi decisionali autonomi con altrettante figure che potrebbero svolgere compiti di basso valore e sicuramente ripetitivi. Speriamo in questo caso in una previsione errata, ma il fenomeno della job polarization sta comunque incrementando il divario professionale e la disuguaglianza, accentuando il gap presente tra le professioni con alte e basse skill.
Ma ci porta via il lavoro?
Se le previsioni stimate riguardo alla job polarization non fanno gioire, i dati sulla modifica di organico del periodo 2018-19 fanno sperare in una trasformazione meno dolorosa, anzi, potremmo quasi dire: no, non porta via il lavoro! Su un campione di 96 aziende prese in esame il 48% di queste non ha sostituito le attività del personale, il 24% ha ricollocato le proprie risorse su attività nuove e il 28% ha ricollocato il personale in mansioni a più alto valore. Il 36% delle aziende ha introdotto nuove risorse all’interno del proprio team, il 22% prevede di farlo ma è momentaneamente impossibilitato all’assunzione e il 13% non ha ancora trovato le risorse con le competenze adeguate, soltanto l’1% ha ridotto il proprio organico. Da questi valori si può capire come le aziende italiane si stiano muovendo in direzione nettamente opposta alle dicerie, sfatando non poco i recenti miti negativi.
Previsioni: quali settori
Nell’immediato futuro vedremo con discreta prevedibilità l’espansione dell’AI nei segmenti della robotica e dei veicoli autonomi, seguiti dagli smart objects. Da non sottovalutare tutto il settore computer vision che però necessita ancora di sperimentazione per poter raggiungere un livello superiore. Per i chatbot, il discorso è ancora complesso ma siamo alla pressoché realtà contemporanea. Sebbene ancora oggi mettere a punto un sistema in grado di interpretare correttamente e soddisfare le richieste di un interlocutore senza commettere errori non è cosa immediata, possiamo accorgerci di quanto siano così diffusi svariati tipi di assistenti virtuali. L’auspicio di tutti è la consapevolezza e la responsabilità che dovrà esserci dietro a ogni sviluppo dell’intelligenza artificiale: come ogni innovazione anch’essa deve servire esclusivamente per generare valore e non diventare l’arma perfetta per la prevaricazione. L’uomo dovrà servirsi di ogni tecnologia senza mai perdere di vista la sua centralità, nulla di più sbagliato sarebbe quello di farsi sfuggire di mano una qualsiasi di queste innovazioni; le conseguenze sarebbero immaginabili.